Il fisco sulle imprese ha davvero ingranato la retromarcia, come lascia intendere la simulazione dell’Istat sugli effetti di alcuni provvedimenti fiscali diventati pienamente operativi tra il 2015 e il 2016? La risposta complessa, in primo luogo perché, come sappiamo, non è corretto valutare la pressione fiscale solo in termini di “quantità” di imposte versate all’Erario.

A pesare, infatti, è anche la “qualità” del prelievo in termini di complicazioni, adempimenti, burocrazia. E con i costi (niente affatto “occulti”) che un sistema con queste caratteristiche finisce per scaricare sulle imprese.

Ma la risposta è complessa anche per un altro motivo. Il nostro paese parte dai livelli di tassazione che conosciamo: si cita spesso la pressione fiscale in rapporto al Pil e si guarda con soddisfazione il fatto che, nel 2015, sia leggermente calata al 43,3%. Ma le nostre imprese hanno molta più familiarità con un altro dato calcolato dalla Banca mondiale, il tax rate, che indica il peso effettivo di tasse e contributi in rapporto agli utili, che per una Pmi italiana supera addirittura il 68 per cento.

Sarebbe un errore non riconoscere ciò che di positivo è arrivato tra il 2015 e il 2016 per le imprese sul versante fiscale. Ci sono le misure utilizzate dall’Istat per la sua simulazione – l’eliminazione del costo del lavoro dall’Irap; l’ammortamento rafforzato sull’acquisto di beni strumentali; il potenziamento dell’Ace. Ma ce ne sono anche altre: il taglio dell’Imu sui macchinari e la parte di Imu agricola; le agevolazioni come il patent box e il bonus su ricerca e innovazione; la decontribuzione per le nuove assunzioni con contratto a tempo indeterminato prima nel 2015 e ora con una riduzione del limite massimo dello sgravio. Se si guarda avanti, nel 2017 dovrebbe arrivare il taglio dell’aliquota Ires al 24%, misura che il primo anno porterà risparmi per quasi 3 miliardi euro.

Tutti interventi utili e attesi dagli operatori. Ma non ancora sufficienti per modificare la percezione del fisco e di un livello del prelievo che continua a essere eccessivo se non spropositato. Bisogna fare di più per le semplificazioni. Bisogna andare avanti sulla strada della riduzione del carico fiscale.

E, in fondo, in questa direzione vanno anche le richieste del Parlamento al Governo arrivate ieri con i pareri sul Def, per rendere strutturale il taglio del cuneo fiscale sui contratti a tempo indeterminato e per prorogare la decontribuzione per i neo-assunti al Sud.

Il Sole 24 Ore Salvatore Padula